Morgan, la poetica irascibile e malinconica di una vita altrove

Quella vis polemica a raccontare cinquant’anni. L’amore, la musica, gli stronzi e X Factor. E quello che non è Morgan lo lasciamo agli altri.

Un diavolo per capello e quella vis polemica a raccontare cinquant’anni, imprevedibili come il tempo. Il talento indiscusso del musicista dal destino cattivo, che ci ha regalato attimi di genio e sregolatezza, precisazioni doverose, sfoghi di giustizia (la sua) e racconti come quelli che si fanno ai bambini prima di dormire.

E poi ancora malinconie, confessioni e fragilità di un uomo che è persona prima di essere artista, anzi artigiano. L’amore, la musica, gli stronzi e X Factor. E tutto quello che non è Morgan lo lasciamo agli altri.

Se X Factor fosse un romanzo popolare, Marco Castoldi sarebbe il suo antieroe. Il protagonista indiscusso di questa straordinaria epopea televisiva, che ha legato indissolubilmente il suo nome a quello del talent. E non solo perché è il giudice che a livello mondiale ha vinto il maggior numero di edizioni: cinque in tutto (le prime tre consecutivamente), su sette partecipazioni totali. Ma perché ha scritto, o contribuito a scrivere, alcune delle pagine più memorabili della storia del programma, tra polemiche, sfuriate e vere e proprie liti.

«X Factor sembra un organismo che sta implodendo, che si auto fagocita. È molto interessante il fatto che crei sé stesso, e si nutra di ciò che crea, già avevo questa sensazione un po’ inquietante quando vedevo che venivano come grandi ospiti quelli che nella stagione precedente erano dei concorrenti. La deriva totale di X Factor è quella che, a un certo punto, è arrivato a considerarmi come una cosa che era fatta di un ciuffo di capelli. Bastava che io fossi là a fare la mia presenza irascibile e malinconica.»

Chiamato per l’indiscussa competenza musicale.

«Nel momento in cui non mi metti in condizione di lavorare alla musica, considerandomi invece soltanto un personaggio, iconico e maschera di sé stesso, tu mi svuoti del mio senso musicale e mi butti via. Durante le prime edizioni, quelle targate Rai, si spegnevano le telecamere del programma e si rimaneva lì a lavorare. Io con i cantanti, con gli autori. Il talent continuava, viveva.»

Arte in antitesi all’egocentrismo.

«Non dev’essere l’artista a dire di esserlo, ma sono la comunità, la storia, gli altri a riconoscerlo tale. Perché l’artista include la parola grande. Quando uno è un artista, è un grande artista. Non può essere altrimenti. Per quello che mi riguarda, io non ho mai detto di me “sono un artista”. Ho sempre detto “sono un artigiano”, che è molto diverso.»

Porre l’accento sul senso di costruzione meticolosa, scientifica, di intarsio musicale, che c’è nella parola artigiano.

«Mi è sempre piaciuto usare la metafora dell’artigianato del legno e del mobile. Un po’ perché sono brianzolo, e lì si fanno i mobili; un po’ perché mio padre era falegname come Geppetto e ha costruito il personaggio; un po’ perché c’è dietro l’idea del lavoro quotidiano e dell’impegno, della pratica giornaliera con gli arnesi, gli strumenti del mestiere, con quell’abilità meticolosa e capace di guardare il dettaglio.»

Ironia, creatività e azzardo come maschere d’artista.

«Le maschere sono qualcosa che indossi sul palco. Ero in un albergo, avevo sete e ho bevuto un caffè. Ci arrivai per caso, facendo una piccola sosta. Un albergo un po’ decaduto, lontano da Dio, ma i camerieri erano particolarmente raffinati. “È raro trovare delle persone come lei da queste parti” mi disse uno di loro. E io ho riflettuto sul fatto che non avesse usato il termine personaggio, quanto piuttosto persona, che è una delicatezza.»

Il termine personaggio ti svuota della realtà catapultandoti nel mondo della finzione.

«Quando dici persona, invece, conferisci quella nobiltà dell’essere umano. Mi capita spesso di incontrare della gente che mi dice “sei un gran bel personaggio”. Allora faccio notare che, in quel momento, non sono sul palco e non sono un personaggio. E anche qualora mi avessero visto in teatro a recitare l’Amleto, pure in quel caso, Amleto sarebbe stato il personaggio e io l’attore, quindi persona.»

Morgan, l’amore, la musica, gli stronzi e Dio. Non necessariamente in quest’ordine.

«Non c’è un ordine cronologico, semplicemente suonava bene così. Poi, se volessimo dare una priorità, ultimamente sono più concentrato su Dio, poiché la tematica stronzi, a dirla tutta, lascia il tempo che trova.»

Al giro di boa dei cinquanta, Dio dunque.

«Sarà anche per l’avanzare dell’età, ma mi trovo sempre più spesso a riflettere sulla questione della fede. Equazione a ripetere, nella psicologia significa adattamento. La gente, l’umanità si adatta alla superviolenza, in quel caso della crocifissione, legittimando il pensiero che, se è stato fatto quello, allora tutto è possibile, qualsiasi atto di violenza diventa lecito. E io non lo condivido.»

Assuefatti ormai agli episodi di violenza, che si perpetrano ogni giorno davanti ai nostri occhi.

«Non ho bisogno di vedere la ragazza con le gambe aperte grondante di sangue, per capire che la violenza sessuale è sbagliata. No, non è così. Bisognerebbe rappresentare, invece, i responsabili di quella nefandezza in galera. Garantirmi questa immagine, farmeli vedere dietro le sbarre, tutti i giorni. Ecco, quello sì che sarebbe molto bello e mi farebbe comprendere che non lo devo fare.»

Forse in un altrove più umano, applicando alla vita i puntini di sospensione.

«Il giorno che ho scritto Altrove ero davvero triste, perché vedere il cambiamento della mia compagna di allora mi aveva molto impressionato. Così decido di uscire di casa, di andare via e, nel farlo, prendo la giacca che, per caso, non mettevo da un anno. “Voglio ritornare ad essere me stesso” ho pensato, perché evidentemente avevo intrapreso una strada che non era più mia. Rimettendo la giacca dell’anno scorso, ritornavo ad essere, forse, quella persona che avevo abbandonato. E allora andai a un concerto – ecco cosa vuol dire “perdersi nel mondo”. Andai a piedi, dritto fino all’aeroporto di Linate, dove c’era David Byrne che suonava quel giorno. La sensazione di smarrimento, la giacca, il camminare; andare senza sapere dove e arrivare al concerto di David Byrne, per poi sentirmi finalmente me stesso… be’, tutto quello è il mio altrove. È recuperarsi.»

Gino Morabito per LiveMedia24

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