Fotografare la Via Lattea: post-produzione

Dopo essere stati sul campo a fotografare la Via Lattea, è indispensabile affrontare la fase di post-produzione.

I problemi principali nel post-produrre la Via Lattea sono essenzialmente tre:

  1. rumore;
  2. luminosità delle stelle;
  3. inquinamento luminoso (salvo i casi in cui è veramente assente).

Partiamo dal rumore. Come abbiamo detto precedentemente, per raccogliere più informazioni possibili è necessario scattare ad alti ISO. Di conseguenza, ogni foto avrà una quantità di rumore elevata. Se non si interverrà per ridurlo, il risultato ne risentirà.

La luminosità delle stelle invece fa riferimento alla luminosità apparente che osserviamo dal nostro pianeta. Vedremo quindi stelle più o meno grandi, con valori di luminosità più o meno accentuati. Per riuscire a catturarli, la nostra fotografia dovrà essere il più sensibile possibile. Per questo si tende a usare parametri di scatto estremi, come ad esempio f/2.8 e 15s. Non è però detto che sia sufficiente: in post allora si dovrà cercare di enfatizzare la loro luminosità.

L’inquinamento luminoso altro non è che luce parassita che proviene dall’illuminazione urbana e si diffonde nel cielo attraverso l’umidità dell’aria e la foschia. Appare come un alone chiaro lucente, molto più luminoso del cielo, che irradia dal basso e sale verso l’alto. Nella post-produzione si cercherà quindi di ridurlo il più possibile, o almeno di renderlo meno impattante.

 

Una prima distinzione da fare è se abbiamo scattato uno scatto singolo oppure una serie di immagini. Nel primo caso, per ridurre il rumore si possono utilizzare i classici metodi utilizzati in fotografia, come Camera RAW, Dfine della Nik Collection oppure plugin di terze parti come ad esempio Topaz DeNoise.

Scattando invece una serie di immagini, ossia più immagini dello stesso soggetto consecutive, si riesce a ridurre notevolmente il rumore. Perché? Sostanzialmente perché il rumore è un fenomeno random, due immagini scattate a 12800 ISO per esempio non avranno mai la texture del rumore uguale. Sarà diverso, ed è questa arbitrarietà che si sfrutta nella fotografia notturna. Le immagini vengono trattate con il metodo dello stacking, ossia la sovrapposizione delle foto come livelli di photoshop e la loro interpolazione con il metodo della media aritmetica, o valore intermedio. Questo metodo prevede l’analisi, pixel su pixel di tutti i livelli, un pixel per volta, in maniera da “mediare” la luce di ciascuno di essi. In questo modo, su un buon numero di scatti, il software riesce a capire quale pixel è “stellare” e quale dovuto al rumore, eliminando questi ultimi.

È possibile allineare le immagini in Photoshop e poi fare la media, oppure utilizzare dei software specifici per queste operazioni. I più utilizzati sono DeepSkyStacker e Sequator. Impostando correttamente tutti i parametri, si ottiene come output un file con il rumore ridotto notevolmente.

L’unico inconveniente della serie di immagini è che allineandole automaticamente risulterà mosso il primo piano. Sarà quindi necessario nascondere con una maschera il primo piano sul file in uscita dai software e unirlo con la stessa maschera allo scatto effettuato per il land. Quest’ultimo, può essere fatto sia durante la sessione di scatto per la Via Lattea, sia nella blue hour. In questo modo si riesce a tenere gli ISO bassi e ad avere un land privo di rumore con il massimo dettaglio.

Mattia Radoni per LiveMedia24

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