Una piacevole chiacchierata con l’attore Vincent Riotta

Vincent Riotta, attore britannico dal cuore italiano, è noto a molti per i tanti ruoli a cui ha preso parte, in produzioni sia italiane che internazionali. Basti ricordare, “Sotto il sole della Toscana”, “Rush”, “Il falco e la colomba”, “Inferno”, “Il capo dei capi” e molti altri successi. Vincent, da anni, affianca alla sua carriera da attore, un’altra passione, quella per l’insegnamento. Abbiamo il piacere di scambiare quattro chiacchiere con lui, in una maniera molto piacevole, genuina e, di questo, gliene siamo grati.

Grazie della disponibilità, Vincent. Come stai? Come hai vissuto il periodo legato al lockdown?

Sto bene, fondamentalmente, seppure abbia perso mia madre, recentemente (il motivo non è dovuto al Covid). Il mio pensiero va a tutte quelle persone che hanno sofferto e che hanno perso parenti e amici. Personalmente, credo che il lockdown andasse vissuto come un’opportunità, uno spunto per riflettere, per creare, approfittando dell’essere relegati in casa.

Il tuo cuore è per metà italiano e per metà britannico. Personalmente, quale pensi sia la tua reale appartenenza?

Difficile dirlo, sarebbe un po’ come scegliere tra l’affetto di una madre e quello di un padre. Sento di appartenere ad entrambe, seppure sia innegabile il fatto che il mio sangue sia siciliano, anche se sono nato e cresciuto in Inghilterra. Resta comunque un punto di domanda molto profondo. Mi definisco una comune persona, con radici e legami forti.

Quali soddisfazioni, nel corso degli anni, ti ha regalato il tuo lavoro?

“Sotto il sole della Toscana” e “Il Capo dei Capi”, sono tra i lavori che ricordo con più piacere. Questo mestiere ti consente di incontrare persone appartenenti ad ogni parte del mondo e di classi sociali sempre differenti. Questa cosa mi rende molto felice, mi appaga. Sul set non si è mai soli, bensì siamo tutti lì pronti a creare e ad organizzare, mettendo a disposizione il nostro talento, la nostra energia, per una comune riuscita. Questo lavoro ti permette anche di vivere luoghi mai visti prima, tanto belli quanto complicati, difficili. Anni fa, ebbi il piacere di girare un film in Bosnia, dove fino a pochi anni prima vi era stata la guerra, portai con me mia figlia, di soli due anni. Poco distante da noi vi erano campi minati inesplorati. Di certo, se avessi scelto un lavoro diverso, non avrei avuto modo di visitare quelle terre e provare tali sensazioni. Sembrava di essere in un’altra epoca!

 

Quale ruolo ti piacerebbe interpretare, un domani?

Mi piacerebbe scrivere della mia famiglia, della loro vita quì in Inghilterra. Si è già parlato tanto di italiani trapiantati in America, ma non si è ancora visto nulla su quegli italiani che dal profondo sud (Sicilia, nel caso dei miei genitori), si sono trasferiti in Inghilterra, con tutte le difficoltà del momento. In America, anni fa, vi era il giusto spazio affinché ci si potesse creare un futuro, in modo tale da poter avere una vita abbastanza ricca, anche a livello culturale. In Inghilterra, invece, la situazione era ben più complicata. La realtà era aliena, costituita da una cultura arretrata, povera anche nei valori, nelle usanze stesse. Ora che mia madre non è più in vita, sento l’esigenza di parlare di loro, di raccontare delle nostre origini. Il prete che ha celebrato il suo funerale, ha sempre classificato i miei genitori, e chi come loro, come dei veri e propri eroi. Senza la giusta conoscenza della lingua, senza soldi e con un rudimentale appoggio per la notte, mio padre si trasferì a Londra, inviando più denaro possibile a mia madre e a mio fratello, ancora fermi in Italia. Non appena si rese conto che la situazione lavorativa stava diventando proficua, chiese a mia madre di raggiungerlo. Non abbiamo mai dimenticato però, la nostra bella Italia, la nostra amata Sicilia. Tornavamo spesso al nostro paese, Mussomeli e, che io ricordi, avevo solo sei anni quando, in piedi sulla fontana del paese, intonai la mia prima canzone. Era la mia prima esibizione.

Ha grande rilievo, nel tuo percorso artistico, l’insegnamento, che spesso affianchi alla tua carriera di attore. Ti andrebbe di parlarcene?

Provo molto orgoglio nello svolgere, parallelamente alla mia carriera da attore, il lavoro di insegnante di recitazione. Tra il 1994 e il 2000, a Los Angeles, ho sviluppato un mio personale metodo: le cinque regole dell’attore. Ho fondato anche un’Accademia, la Hollywood Boulevard, che ebbe grande riscontro da parte di molti studenti. Ben presto però, mi resi conto che non potevo seguire entrambe le strade, perché così facendo avrei tolto tempo alla recitazione. Dopo alcuni anni, quando ero ormai in Italia, decisi di volermi dedicare nuovamente all’insegnamento, impartendo consigli a tutti quei giovani che si apprestano a voler diventare registi. Penso sia importante, per chi si avvicina alla regia, riuscire a capire cosa porta un attore a subire una qualsiasi battuta d’arresto. È quindi compito del regista, cercare di porre rimedio, lì dove si verifica questo. Sono ventitré anni ormai che insegno, sia in Inghilterra che in Italia e, da qualche tempo, nuovamente anche in America.

Ti piacerebbe diventare regista?

Sono in tanti a consigliarmi di realizzare qualcosa di mio. Affinché possa dire di si, occorre che al mio fianco ci siano dei bravi e forti tecnici, un altrettanto bravo direttore della fotografia, un montatore abile e, non ultimo, un cast di alto livello. La giusta spinta motivazionale, potrebbe essere quella di scrivere appunto della mia famiglia, della loro incredibile storia.

Cosa prevede il tuo futuro?

Ho da poco ottenuto il visto per l’America. Mi auguro di poter presenziare a più produzioni americane possibili. Non avendo più mia madre con me e con mia figlia altrove a studiare regia, mi sono sentito, inizialmente, perso. L’unica cosa che al momento mi auguro, è quella di poter vincere un giorno l’oscar. Lavorerò sodo affinché accada.

Ringraziamo Vincent Riotta della disponibilità.

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Si Ringrazia Massmedia Comunicazione.

intervistaVincent Riotta
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