PIF un siciliano a Roma

Siciliano di Palermo finito a Roma, Pierfrancesco Diliberto, detto Pif, racconta storie di chi ha combattuto contro la mafia. Posizioni nette, decise, risolute, in difesa di chi ha sempre avuto la schiena dritta e poca voce.

Allergico agli automatismi, bocciato a scuola, nemo propheta in patria, ha preferito mirare dritto al cuore intellettuale di Franco Zeffirelli e di Marco Tullio Giordana. Resta un po’ iena, un po’ testimone, passando per un normalizzatore di stravaganze terrestri, che da quindici anni ha scatenato la sua personale guerra di Piero.

Siciliano di Palermo finito a Roma, Pierfrancesco Diliberto, detto Pif, racconta storie di chi ha combattuto contro la mafia. Posizioni nette, decise, risolute, in difesa di chi ha sempre avuto la schiena dritta e poca voce. Prendono vita nei film apprezzati da pubblico e critica, ora dai microfoni della radio, ora nei successi editoriali, grazie a cui si riaccendendo i riflettori sulla sordità delle istituzioni che non possono più fare finta di non sentire.

Quando si diventa popolari si ha come la sensazione di riuscire a cambiare il mondo.

«In realtà è solo un’illusione. Diciamo che è successo ogni tanto che qualcosa sia cambiata, se non solo grazie a te, anche grazie a te. Ed è stata una bella vittoria!»

Ogni tanto capita di vincere qualche battaglia.

«Ultimamente nel catanese, in difesa di ragazzi autistici. Quando mi si è avvicinato un padre di figli disabili e mi ha detto: “Adesso la Regione ci ascolta, ci dà dei soldi per l’assistenza!” Beh, quello mi ha ripagato di tutto.»

Io posso, per rendere dignitoso ogni giorno!

«Con Marco Lillo abbiamo avuto la possibilità di diffondere la notizia delle sorelle Pilliu che hanno denunciato un costruttore legato alla mafia e che, dopo trent’anni di lotta, anche grazie al nostro libro, il loro gesto è stato finalmente riconosciuto. Diventa fondamentale stare vicino alla quotidianità delle persone e delle famiglie colpite, per rendere dignitoso ogni giorno.»

Intere generazioni cresciute nella consapevolezza che esistono i mali nel mondo e bisogna accettarli passivamente. Così è (se vi pare).

«Sono cresciuto con due genitori che mi hanno sempre detto come stavano le cose. Però la loro era una generazione che si limitava soltanto a prenderne atto. Non c’è mai stato un insegnamento in cui si diceva che le cose potessero cambiare.»

L’ignoranza, la volontà di ignorare, in Sicilia ce la insegnano fin da piccoli.

«In Sicilia si cresce senza la possibilità di sognare. Un bambino che nasce in Italia, in particolar modo in Sicilia, non è istruito a sognare perché tiriamo sempre fuori Il Gattopardo come se fosse una condanna divina. È vero che non ci sono le strutture! Probabilmente però non ci sono le strutture perché noi continuiamo a citare Il Gattopardo.»

Il principe di Salina dice una cosa maledettamente vera: noi siciliani non cambieremo mai perché ci riteniamo perfetti.

«Un altro motivo per cui facciamo fatica a cambiare è che viviamo in un posto dannatamente bello. La bellezza della Sicilia ci frega, ci abbaglia e ci porta a non vedere quanto c’è di negativo. Male che però i siciliani non hanno mai negato. Non abbiamo mai negato l’esistenza della mafia, ne abbiamo negato la pericolosità.»

 

 

Un palermitano che, dopo aver frequentato il liceo scientifico all’istituto salesiano don Bosco, decide di non iscriversi all’università ma si sposta a Londra per cominciare a costruire il proprio futuro.

«Mi rivedo ancora nel ragazzino che sognava di fare questo lavoro e c’è riuscito. Guardando indietro, il consiglio che gli darei è quello di cercare di capire subito cosa si vuole dire al mondo. I miei primi cortometraggi tecnicamente erano fatti bene, però non avevano nessun messaggio. Credo che la cosa fondamentale nella vita, un po’ per tutti e in particolar modo per chi vuol fare questo mestiere, sia avere qualcosa da dire. Magari non può venire subito, occorre del tempo. Io ho cominciato ad avere una visione del mondo intorno ai quindici anni. Ecco, a quel Pierfrancesco direi di cercare la propria visione del mondo, o comunque di sforzarsi per averla.»

Gli scatti di Adolfo Frediani ci raccontano una personalità alla luce del sole, ironica, riflessiva.

«Sono abbastanza severo con tutti e con me stesso. Sono eccessivo, estremista. Spero solo che, con la paternità, questo atteggiamento si attenui. Non vorrei passare per un prete calvinista che si punisce, sentendosi in colpa per il successo.»

Pseudonimo di Pierfrancesco Diliberto, Pif è un conduttore, autore, sceneggiatore, regista, scrittore, attore, apprezzato da pubblico e critica.

«Spero che si riconosca la mia onestà intellettuale. La domanda che mi sarò fatto pochi secondi prima di morire sarà: ho fatto tutto quello che potevo nella vita? Ecco, mi piacerebbe che la gente comprendesse proprio questo e rispondesse: “Sì, ha fatto tutto quello che ha potuto!”. Se la gente mi riconoscesse l’onestà intellettuale, sarei un uomo felice.»

La felicità non è legata al successo ottenuto, al fatto che la gente ti riconosca per strada. Quella è una piacevole conseguenza del proprio lavoro.

«Sono felice perché la mia passione è diventata il mio mestiere, perché sono riuscito a fare quello che volevo. Nel privato, la felicità più grande è quella di essere riuscito a formare una famiglia con le persone che ho ricercato per tutta la vita.»

Poi c’è sempre un buon motivo per non essere felici. Ma, almeno per una volta, godiamoci quello per cui valga la pena esserlo.

Gino Morabito per LiveMedia24

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